Apocalisse
di Giovanni
Seguire l’agnello
dovunque vada” (Ap 14,4). L’Apocalisse e i consacrati
“Apocalisse” è diventata ormai quasi sinonimo di catastrofe, rovina e distruzione. Oggi è “apocalittico” ogni tentativo di sovvertire l’ordine sociale vigente. Per questa ragione, secondo una tesi storiografica largamente diffusa, ogni movimento rivoluzionario nato in Europa dall’antichità a oggi, compreso lo stesso terrorismo, avrebbe le sue radici, in modo consapevole o meno, nel libro di Giovanni. Tutto questo deriva da una interpretazione dell’Apocalisse, affermatasi in epoca moderna, che vede nel libro la predizione del ritorno di Cristo in terra a distruggere i suoi nemici e quelli della sua Chiesa. Il libro in effetti parla di una prossima venuta di Cristo. Tuttavia, confortati da testimonianze risalenti ai primi secoli cristiani, si può argomentare (come fa Eugenio Corsini) che la “venuta” di Gesù Cristo, di cui si parla nell’Apocalisse, non sia quella che si verificherà alla fine dei tempi, bensì la “venuta” che si verifica da sempre all’interno della storia umana, e che ha il suo culmine nella venuta storica di Cristo (incarnazione, morte e risurrezione) e che continua nella sua venuta perenne all’interno della comunità ecclesiale. In questo senso, tutta la storia umana è “apocalisse”, cioè rivelazione di Gesù Cristo.
File MP3, pronuncia greca classica
J.-O.
Tuñí – X. Alegre, Scritti
giovannei e lettere cattoliche (Introduzione allo studio della
Bibbia, 8), Paideia, Brescia 1997, pp. 173-232.
Lezioni 1-2: Rilievi introduttivi (L'apocalittica giovannea)
Dal greco apocalypticós
(rivelatore, illuminante), il termine indica l’insieme degli scritti,
per lo più appartenenti alla tradizione giudaica, che contengono
rivelazioni riguardanti la fine dei tempi. Composti in periodi di
tribolazione, tentano di leggere la storia alla luce della visione
religiosa biblica; la storia, di conseguenza, è vista come il luogo di
un conflitto drammatico tra la potenza del bene e quella del male, che
comunque non sfugge alla signoria di Dio. La modalità espositiva
impiegata è quella del sogno e della visione e il linguaggio fa ampio
ricorso al simbolismo naturale, animale e aritmetico, talvolta di
difficile interpretazione. I primi testi apocalittici sono contenuti
nei libri biblici dei grandi profeti sorti dopo l’esilio di Babilonia
(a partire dal sec. V): Ezechiele (capp. 38-39), Isaia (capp. 24-27 e
34-35) e soprattutto Daniele, che è il testo dell’Antico Testamento più
caratterizzato in questo senso. Testi apocalittici sono presenti anche
nel Nuovo Testamento; oltre all’Apocalisse di Giovanni, molto nota è
l’“apocalisse sinottica” che riporta il
discorso di Gesù sulle realtà
ultime (Mc 13,1-31; Mt 24,1-44; Lc 21,5-36).
«Non temere! Io
sono
il Primo e l'Ultimo e il Vivente» (Ap 1,17-18)
Il Risorto sta sempre con noi
In
un tempo di persecuzione, di tribolazione e di smarrimento per la
Chiesa all'epoca dell'Autore dell'Apocalisse (cfr Ap 1,9), la parola
che risuona nella visione è una parola di speranza: "Non temere! Io
sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per
sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi" (Ap 1,17-18).
Siamo messi così di fronte al Vangelo, al "lieto annuncio", che è Gesù
Cristo stesso. Egli è il Primo e l'Ultimo: in Lui tutta la storia trova
inizio, senso, direzione, compimento; in Lui e con Lui, nella sua morte
e risurrezione, tutto è già stato detto. È il Vivente: era morto, ma
ora vive per sempre. Egli è l'Agnello che sta ritto in mezzo al trono
di Dio (cfr Ap 5,6): è immolato, perché ha effuso il suo sangue per noi
sul legno della croce; è ritto in piedi, perché è tornato in vita per
sempre e ci ha mostrato l'infinita onnipotenza dell'amore del Padre.
Egli tiene saldamente nelle sue mani le sette stelle (cfr Ap 1,16),
cioè la Chiesa di Dio perseguitata, in lotta contro il male e contro il
peccato, ma che ha ugualmente il diritto di essere lieta e vittoriosa,
perché è nelle mani di Colui che ha già vinto il male. Egli cammina in
mezzo ai sette candelabri d'oro (cfr Ap 2,1): è presente e attivo nella
sua Chiesa in preghiera. Egli è anche "colui che viene" (Ap 1,4)
mediante la missione e l'azione della Chiesa lungo la storia; viene
come mietitore escatologico, alla fine dei tempi, per portare a
compimento tutte le cose (cfr Ap 14,15-16; 22,20). Ecclesia in Europa,
6.
Lezioni 5-6: Le sette lettere (Pergamo e Tiatira)
«Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire» (Ap 3,2)
Il Signore chiama alla conversione: Gesù si rivolge oggi alle nostre Chiese
«Così parla Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro [...], il Primo e l’Ultimo, che era morto ed è tornato alla vita [...], il Figlio di Dio » (Ap 2,1.8.18). È Gesù stesso che parla alla sua Chiesa. Il suo messaggio è rivolto a tutte le singole Chiese particolari e riguarda la loro vita interna, a volte contrassegnata dalla presenza di concezioni e mentalità incompatibili con la tradizione evangelica, spesso attraversata da diverse forme di persecuzione e, ancora più pericolosamente, insidiata da sintomi preoccupanti di mondanizzazione, di perdita della fede primitiva, di compromesso con la logica del mondo. Non di rado le comunità non hanno più l’amore di un tempo (cfr Ap 2,4). Si osserva come le nostre comunità ecclesiali siano alle prese con debolezze, fatiche, contraddizioni. Anch’esse hanno bisogno di riascoltare la voce dello Sposo, che le invita alla conversione, le sprona all’ardimento di cose nuove e le chiama a impegnarsi nella grande opera della «nuova evangelizzazione». La Chiesa deve costantemente sottomettersi al giudizio della parola di Cristo, e vivere la sua dimensione umana in uno stato di purificazione per essere sempre più e sempre meglio la Sposa senza macchia né ruga, adorna di una veste di lino puro splendente (cfr Ef 5,27; Ap 19,7-8). In tal modo Gesù Cristo chiama le nostre Chiese in Europa alla conversione ed esse, con il loro Signore e in forza della sua presenza, diventano apportatrici di speranza per l’umanità. Ecclesia in Europa, 23.
Lezioni 7-8: Le sette lettere (Sardi e Filadelfia)
«Prendi il libro aperto [...] e divoralo» (Ap 10,8.9)
Proclamare il mistero di Cristo: la rivelazione dà senso alla storia
La
visione dell’Apocalisse ci parla di «un libro a forma di rotolo,
scritto sul
lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli», tenuto
«nella
mano destra di Colui che era assiso sul trono» (Ap 5,1).
Questo
testo contiene il piano creatore e salvifico di Dio, il suo progetto
dettagliato su tutta la realtà, sulle persone, sulle cose, sugli
avvenimenti.
Nessun essere creato, terrestre o celeste, è in grado di «aprire il
libro e di
leggerlo» (Ap 5,3), ossia di comprenderne il contenuto.
Nella
confusione delle vicende umane, nessuno sa dire la direzione e
il senso
ultimo delle cose. Solo Gesù Cristo entra in possesso del volume
sigillato
(cfr Ap 5,6-7); solo Lui è «degno di prendere il libro e
di aprirne
i sigilli» (Ap 5,9). Solo Gesù, infatti, è
in
grado di rivelare e attuare il progetto di Dio racchiuso in esso.
Lasciato
a se stesso, lo sforzo dell’uomo non è in grado di dare un senso alla
storia e
alle sue vicende: la vita rimane senza speranza. Solo il Figlio di Dio
è in
grado di dissipare le tenebre e di indicare la strada. Il
volume aperto viene consegnato a Giovanni e, tramite lui, alla
Chiesa intera. Giovanni è invitato a prendere il libro e a
divorarlo:
«Va’, prendi il libro aperto dalla mano dell’angelo, che sta ritto sul
mare e
sulla terra [...] Prendilo e divoralo» (Ap 10,8-9). Solo
dopo
averlo assimilato in profondità, potrà comunicarlo adeguatamente agli
altri, ai
quali è mandato con l’ordine di «profetizzare ancora su molti popoli,
nazioni e
re» (Ap 10,11). Ecclesia in Europa, 44.
Lezioni 9-10: Le sette lettere (Laodicea) e la vittoria della hypomoné
«Conosco le tue opere, la carità, la fede, il servizio e la costanza» (Ap 2,19)
La via dell’amore
La
parola che lo Spirito dice alle Chiese contiene un giudizio
sulla loro
vita. Esso riguarda fatti e comportamenti: «Conosco le tue opere»
è
l’introduzione che, quasi come un ritornello e con poche varianti,
compare
nelle lettere scritte alle sette Chiese. Quando le opere risultano
positive,
sono frutto della fatica, della costanza, della sopportazione delle
prove,
della tribolazione, della povertà, della fedeltà nelle persecuzioni,
della
carità, della fede, del servizio. In questo senso esse possono essere
lette
come la descrizione di una Chiesa che, oltre ad annunciare e a
celebrare la
salvezza che le viene dal Signore, la “vive” concretamente. Per servire
il
Vangelo della speranza, anche alla Chiesa che vive in Europa è
chiesto
di seguire la strada dell’amore. È strada che passa attraverso la
carità
evangelizzante, l’impegno multiforme nel servizio, la decisione per una
generosità senza soste né confini (Ecclesia in Europa, 83).
«Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme,scendere dal cielo» (Ap 21,2)
La novità di Dio nella storia
Il
Vangelo della speranza che risuona nell’Apocalisse apre il cuore
alla contemplazione
della novità operata da Dio: «Vidi poi un nuovo cielo e una nuova
terra,
perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era
più» (Ap 21,1).
È Dio stesso a proclamarla con una parola che offre la spiegazione
della
visione appena descritta: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5).
La novità di Dio – pienamente comprensibile sullo sfondo delle cose
vecchie,
fatte di lacrime, lutto, lamento, affanno, morte (cfr Ap 21,4)
– consiste nell’uscire dalla condizione di peccato e dalle conseguenze
di esso
in cui si trova l’umanità; è il nuovo cielo e la nuova terra, la nuova
Gerusalemme, in contrapposizione a un cielo e a una terra vecchi, a un
antiquato ordine di cose e ad una vetusta Gerusalemme, travagliata
dalle sue
rivalità. Non è indifferente per la costruzione della città dell’uomo
l’immagine della nuova Gerusalemme, che scende «dal cielo, da Dio,
pronta come
una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21,2) e si riferisce
direttamente al mistero della Chiesa. È un’immagine che parla di una realtà
escatologica: essa va oltre tutto quello che l’uomo può fare; è un
dono di
Dio che si compirà negli ultimi tempi. Ma non è un’utopia: è realtà
già
presente. Lo indica il verbo al presente usato da Dio – «Ecco,
io faccio
nuove tutte le cose» (Ap 21,5) –, con l’ulteriore
precisazione:
«Ecco sono compiute!» (Ap 21,6). Dio, infatti, sta già
agendo per
rinnovare il mondo; la Pasqua di Gesù è già la novità di Dio. Essa fa
nascere
la Chiesa, ne anima l’esistenza, rinnova e trasforma la
storia. Questa
novità comincia a prendere forma anzitutto nella comunità
cristiana,
che già ora è «dimora di Dio con gli uomini» (cfr Ap 21,3),
nel cui seno Dio già opera, rinnovando la vita di coloro che si
sottomettono al
soffio dello Spirito. La Chiesa è per il mondo segno e strumento del
Regno che
si realizza innanzitutto nei cuori. Un riflesso di questa stessa novità
si
manifesta anche in ogni forma di umana convivenza animata dal
Vangelo.
Si tratta di una novità che interpella la società in ogni momento della
storia
e in ogni luogo della terra, e in particolare la società europea che da
tanti
secoli ascolta il Vangelo del Regno inaugurato da Gesù (Ecclesia in
Europa,
106-107).